Abele (ebr. הֶבֶל), il secondo figlio di Adamo ed Eva, assassinato da Caino, suo fratello maggiore (Gen. 4: 1–9). Secondo la storia biblica, Abele era un pastore e Caino lavorava la terra. Ciascuno portò un’offerta al Signore dai frutti del suo lavoro. Il sacrificio di Abele fu accettato dal Signore, ma l’offerta di Caino fu rigettata. Caino, nella sua gelosia, uccise suo fratello. Le spiegazioni di questa storia sono solitamente ricercate in un conflitto tradizionale tra agricoltura e nomadismo. Così il trattamento preferenziale accordato al sacrificio di Abele è visto come riflettere un presunto ideale pastorale in Israele. La narrazione, tuttavia, non supporta in alcun modo l’esistenza di un tale ideale, né vi è alcuna denigrazione dell’agricoltura. Al contrario, lavorare la terra sembra essere considerata l’occupazione naturale dell’uomo (Gen. 2:15). L’antitesi tra i fratelli è quindi meno di occupazioni che di qualità di offerte. Mentre l’offerta di Caino è descritta semplicemente come “dei frutti del suolo”, Abele è registrato come aver portato “dei primogeniti del suo gregge”. La storia, tuttavia, sembra essere abbreviata. Manca di qualsiasi descrizione della motivazione iniziale e dell’occasione dei sacrifici e non fornisce le ragioni del rifiuto dell’offerta di Caino. Né spiega come la risposta del Signore sia diventata nota ai fratelli. L’etimologia del nome di Abele non è chiara. Potrebbe esserci una connessione intenzionale con Hevel (“respiro, vapore, futilità”), che simboleggia la tragica brevità della sua vita (cfr., ad esempio, Eccles. 1: 2), anche se per qualche motivo la derivazione del nome non è data, come nel caso di Caino. Potrebbe esserci anche qualche relazione con l’accadico aplu or ablu (“figlio”), parallelamente all’uso dei nomi * Adam e * Enosh.
Per Abel in Aggadah, vedi * Caino.
bibliografia:
NM Sarna, Capire la genesi (1966), 28-32; EA Speiser, Genesi (1964), 29–33; U. Cassuto, Mi-Adam ad No’aḥ (1953), 131-9.