Petronio. Nel manoscritto sopravvissuto, la paternità del romanzo picaresco latino Satira è attribuito a “Petronio Arbitro”. La maggior parte degli studiosi ritiene (sebbene manchino prove conclusive) che questo sia Gaio (o Tito) Petronio, che servì l’imperatore romano Nerone come Arbiter Elegantiarum (giudice di eleganza, o regista di intrattenimento). Cadde dal favore dell’imperatore e gli fu ordinato di suicidarsi nel 66 d.C. Lo storico Tacito descrive la morte del cortigiano nel suo Annali (libro 18, sezioni 18-19).
Il Satira è un romanzo di vita bassa nell’Italia romana, incentrato sul narratore Encolpio e sul suo fidanzato Gitone. L’autore può sembrare celebrare – non condanna certo – lo stile di vita amorale dei suoi personaggi: di solito sono squattrinati e spesso coinvolti in avventure sessuali poco raccomandabili.
Nell’Europa medievale il Satira era un classico segreto. Nessuna copia completa è sopravvissuta ai tempi moderni; abbiamo solo frammenti. L’episodio più lungo sopravvissuto (sezioni 26–78), importante per la storia del cibo, è noto come Satyricon; o “La cena del Trimalcione”. Questo immensamente ricco ex schiavo delizia i suoi ospiti (incluso Encolpio) con cibo e conversazioni intese a mostrare l’urbanità, ma più veramente tradendo la vuota pretenziosità. Il piatto principale è un maiale arrosto, servito come se fosse ancora intero. Infatti era stato eviscerato normalmente, e successivamente farcito con salsicce cotte, che sembrano (e sono fatte di) intestini: un trucco di presentazione intelligente, ma insapore. Il vino è etichettato come “opimian, cento anni”, ma alla data della cena immaginaria tutti i vini italiani sopravvissuti della famosa annata di Opimian avevano 180 anni e quasi imbevibili: tali contraddizioni hanno lo scopo di rivelare l’ignoranza gastronomica dell’ospite. Quasi ogni elemento del menu ha un sottotono satirico. Bilanciando abilmente tra stupore ingenuo e disprezzo cinico, il narratore ci dice molto sulla gastronomia e le usanze culinarie sotto il primo impero. Tra gli antipasti della cena del Trimalchio, i ghiri (arrostiti, immersi nel miele e arrotolati nei semi di papavero) rimarranno per sempre tipici della cucina romana.